Oltre le pagine di “Folisca”: Miriam D’Ambrosio si racconta
Si intitola “Folisca” il nuovo romanzo della scrittrice Miriam D’Ambrosio, e in questa intervista ci condurrà attraverso una notte d’estate del 1913, immergendoci nella vibrante atmosfera di Milano durante la Belle Époque. Il cuore della narrazione batte al ritmo della storia di Rosetta Andrezzi, una giovane sciantosa che sogna di riscattare la propria vita, ma che si trova vittima di una violenza brutale in piazza Vetra, perpetrata da chi avrebbe dovuto far rispettare la legge.
La trama si snoda attraverso il coraggio di un giornalista inaspettato, il direttore di un quotidiano socialista, determinato a svelare la verità, sfidando l’opinione pubblica e mettendo in discussione il sistema giudiziario. La vicenda di Rosetta Andrezzi, conosciuta anche come Rosetta di Woltery nei teatri italiani, emerge come un simbolo di un’epoca contraddistinta dalla Belle Époque, dai café chantant e dalla vivacità artistica di giovani letterati immersi nella modernità.
Ma la storia di Rosetta va oltre l’ambiente artistico e culturale dell’epoca. Si intreccia con le contraddizioni di una democrazia ancora immatura e con l’imminente apocalisse della Grande Guerra. La breve e intensa vita di Rosetta diventa così il riflesso di un periodo ricco di fermenti e travagliato. Attraverso “Folisca”, l’autrice ci offre una prospettiva avvincente sulla Milano di inizio Novecento, con uno sguardo attento alle passioni, alle lotte e alle contraddizioni di un’epoca che ha lasciato un segno indelebile nella storia della città.
Qual è stato il tuo primo approccio alla scrittura e cosa ti ha ispirato a diventare scrittrice?
Mi hanno ispirato i miei allievi, ragazzi di un Centro di Formazione Professionale lombardo, alle prese con i grandi autori della Letteratura, da Leopardi a Shakespeare. Mi hanno incuriosito loro, il loro sguardo sul mondo, a volte disincantato, ferito, divertito e sempre profondamente autentico.
Scrivere può essere una sfida creativa. Come affronti i momenti di blocco o di mancanza di ispirazione?
Credo siano momenti normali. Si scrive quando si vuole raccontare qualcosa, quando si ha l’urgenza della narrazione e di una connessione autentica con chi leggerà e farà sue le pagine che avrà davanti.
La storia di Rosetta è stata a lungo nascosta o dimenticata. Come ti senti nel portare alla luce questa storia e dare voce a una figura così importante ma spesso dimenticata nella storia italiana?
Le storie di quelli considerati “ultimi” mi interessano. Quella di Rosetta è una vecchia storia milanese che, disgraziatamente, è attualissima e non credo che smetterà di esserlo. Era una ragazza del popolo con un grande talento artistico. Inizia il suo percorso, la sua salita, ma qualcuno le blocca il cammino per sempre. Si tratta di antiche e presenti storie di abusi di potere.
La Milano del 1913 è un elemento centrale in “Folisca”. Come hai catturato l’essenza di questa città e dell’epoca in modo così autentico?
Adoro la Belle Epoque e amo Milano, anche se nel romanzo sono presenti altre due città della mia vita: Roma e, soprattutto, Napoli. Comunque, l’inizio Novecento è un periodo storico che mi appartiene, lo sento mio da sempre.
Quali sono i tuoi consigli per gli aspiranti scrittori che vogliono intraprendere un viaggio simile nel mondo della scrittura storica o della narrativa basata su eventi reali?
L’unico consiglio che posso dare è seguire la propria urgenza. Solo se si ha la necessità di raccontare, allora bisogna farlo, altrimenti, in un paese dove è più la gente che scrive che quella che legge, non conviene seguire questa via. Oggi le persone di successo non sono i raccontastorie defilati che non sanno promuovere se stessi.
Infine, puoi condividere con noi un estratto del tuo romanzo “Folisca” che ritieni particolarmente significativo o rappresentativo della storia?
“Sono Elvira Rosa Ottorina Andrezzi. Tre nomi per una bambina sola; si è usato così per molto tempo. Rosa lo volesti tu, fu la tua prima scelta di madre per me, quella con cui mi accoglievi. Dare un nome è accogliere ma per te fu solo un obbligo. Un figlio lo devi chiamare in qualche modo.
Ora mi chiamano Rosetta de Woltery e sono figlia di Musica e Canto, nata una seconda volta dentro la stessa vita”.