Tutto ciò che vuoi è dall’altra parte della paura. Intervista ad Eleonora Marsella
Ci si inventano un milione di scuse per rimandare situazioni che ci sembrano più grandi di noi, che ci fan paura, dalla quale fuggiamo, per non dover mai avere un faccia a faccia con loro, e così facendo non ci accorgiamo che molto spesso basterebbe soltanto girare la medaglia dalla parte invisibile ad occhi superficiali, per reagire ed abbattere i mostri sotto al letto.
Son sempre stata diversamente coraggiosa, nel corso della mia vita, e questo tratto di me non è affatto cambiato, ma ho un modo di reagire alle paure che mi si presentano, decisamente consigliato: mi butto.
Quando ti ritrovi a dover decidere se dar retta alla parte di te tremante, con ansie, paranoie, paure, lacerazioni e lividi, o alla parte di te forte, fiera, orgogliosa e rigogliosa, riesci a vedere cos’è realmente importante, cosa deve prevalere, che lato della medaglia deve luccicare. Non sono qua per dettare leggi, per dire cosa si deve fare in questi casi, per darvi “i prossimi 10 passi” o l’anello mancante del vostro malessere.
Son qua per ricordarvi che non è poi così impossibile, seppur difficilissimo. Sarà difficile ogni qualvolta vi vedrete circondati da ambienti, emozioni e persone a voi sconosciute; ogni qualvolta vi vedrete in bilico su uno strapiombo, tra una rata della macchina da pagare e la spesa da fare; ogni qualvolta i vostri occhi riusciranno a percepire delle falsità, delle cattiverie, delle ingiustizie. Sarà difficile perché vi sentirete a disagio, avrete paura e di conseguenza la classificherete come una brutta sensazione, da cui ripararvi. E se invece vi dicessi che non è la sensazione più brutta che si possa provare? Se vi dicessi che è decisamente peggio amalgamarsi in un’abitudine non vostra, che sentite non vi appartenga, in un’abitudine meschina, che si prende gioco di voi, facendovi morire dentro, piuttosto che alla paura che vi porta a vivere, mi credereste? Son partita per la capitale, la città eterna, che non muore mai, la città del mio cuore, per intervistare una ragazza di origini salentine che ha tanto da regalare, ad una come me, soprattutto.
Però, miei cari lettori, prima di partire con l’intervista vorrei lasciarvi con una domanda a cui probabilmente non avrete pensato: secondo voi, nell’affrontare l’ennesima prova, che vede me protagonista, io non ho paura?
Ho deciso di tornare in questa meravigliosa città, col sole che cala sul Passetto, per incontrare una ragazza che ha tanto da raccontare. Mi sono imbattuta in lei tramite “Il Blog di Eleonora Marsella” e non ho potuto fare a meno di notare l’enorme coraggio nel lasciare la propria terra, i propri cari, per buttarsi in una città nuova, sconosciuta ed enorme come Roma. Beh, per questo son qua: vorrei trasmettere a tutti voi la sua storia, perché vale la pena di averla “vissuta”, leggendola, una storia così, e perché credetemi, vale ancora la pena sognare in grande.
Ho notato un post di alcune settimane fa in cui dicevi che dietro al blog di Eleonora Marsella c’è una persona con affetti, radici, sentimenti. Ecco, vorrei partire proprio da questa Eleonora, dal Salento, dalle tue origini.
La scrittura ti ha accompagnata per gran parte della tua vita, ma intraprendesti comunque un istituto tessile. Cosa ti portò alla moda?
Bella domanda. Partendo dal presupposto che quando sono uscita dalle scuole medie, quindi i primi anni delle superiori, non avevo una gran voglia di studiare, nonostante mi piacessero tantissimo la cultura ed i libri, perché era una cosa imposta, così mi son detta: “Scelgo qualcosa che non sia estremamente complicato”. La realtà fu che andai a scegliere un industriale, perché la specializzazione avvenne agli ultimi anni delle superiori.
Nel frattempo, a casa mi indussero a pensare di aver sbagliato scuola e che avrei dovuto scegliere un linguistico, invece che un tessile. Ero nella confusione più totale, finchè non finii la scuola e mi accorsi che in verità il tessile mi piaceva tantissimo: selezionavano ogni anno degli studenti per andare al Pitti Woman – Pitti Immagine a Firenze e per sfilate anche a Milano e questo non faceva altro che farci sentire speciali. Adesso mi rendo semplicemente conto che quella scuola mi ha aiutato tantissimo, perché nel momento stesso in cui mi imbatto in un tessuto, so esattamente di cosa si tratta.
Dalla moda alle lingue e dalle lingue al giornalismo: come sei arrivata a capire che scrivere era, effettivamente, tutta la tua vita?
Devo dire che scrivo da sempre e leggo da ancor prima, ma la scrittura ha incontrato la mia vita all’epoca delle scuole superiori, quando iniziai a scrivere per il giornalino scolastico, che mi ha accompagnata per un bel pezzo di strada. Tuttavia sono di un’opinione: ognuno di noi nasce con una dote, bisogna solo scoprire qual è. Per me tendenzialmente lo sono le persone, ma il giornalismo ed i libri sono i protagonisti principali di ciò.
Nel corso di questi studi hai fatto il passo di lasciare la tua amata terra per andare nella città eterna. Come hai reagito al cambiamento inizialmente? Qualche aneddoto particolare?
Facciamo una premessa: sono a Roma da tre anni, quindi da quando ne ho 22. La scelta di venire a Roma nacque da un viaggio che feci in quinta superiore, con quello che era il mio ragazzo, che in realtà lo è stato fino a poc’anzi, e capii, a 18 anni, che sarebbe stata la mia città. Finite le scuole superiori mi ritrovai nella più totale confusione, a dover fare i conti con la mia realtà, così mia madre mi mandò a fare orientamento universitario, delle bellissime università di Roma. Son sempre stata legata alla comunicazione in un qualche modo e questo mi portò a scegliere Scienze della comunicazione, in Salento, che portai avanti per due anni e mezzo, invece che tre, dovuto all’ambiente decisamente troppo ristretto.
Dopodiché approdai a Roma a 22 anni. Mi ricordo il primo viaggio che feci per venire nella capitale, in cui mi accompagnarono il mio ex fidanzato e mia madre: quando se ne andarono, rimasi sul letto nella medesima posizione per almeno un paio d’ore, non mi mossi da quell’angolo di mondo che mi ero creata, perché voleva dire dover affrontare qualcosa a cui non ero preparata. Infatti, poi, quella sera cucinai e mangiai in camera, perché la cucina era ancora un’ambiente troppo sconosciuto. Posso dire che ci vuole coraggio, sia a rimanere nella propria terra, che a lasciarla. È complicato in entrambi i casi.
Finalmente a Roma. Come hai intrapreso questa tua nuova esperienza, ma, soprattutto, come sei riuscita a subentrare in questo mestiere (giornalismo) che, in Italia, sembra un po’ azzardato?
Il giornalista si assume la responsabilità di fare comunicazione e comunicare è decisamente difficile. Io, a 18 anni, per cercare di comunicare con le persone, aprii un blog. Il giornalismo, in Italia, è una scelta coraggiosa, che non deve essere dettata dai soldi, perché è uno di quei mestieri in cui guadagni pochissimo, bensì dalla voglia di farlo, quindi anche qui aneddoti particolari non ce ne sono, ma torniamo al punto di partenza: ognuno nasce con un dono ed è giusto che se sente di far parte del giornalismo, lo porti avanti, però, se si è confusi, non è sicuramente la strada più facile e giusta da prendere. Come dico spesso, la determinazione nell’impasto è fondamentale, perché ti permette di raggiungere le cose e ti permette di essere veloce, di ottimizzare i tempi, per riuscire a fare tutto. Perché non sto mai ferma? Perché ho troppe cose da fare, per potermi permettere di perdere tempo.
“Il Blog di Eleonora Marsella” da che idea o bisogno è scaturito?
Da un bisogno, hai detto bene. Io vivevo praticamente in un paesino di 15000 abitanti, Maglie (casa natale di Aldo Moro), in provincia di Lecce e nonostante per gli studi facessi avanti ed indietro, dai 18 ai 21, non sono mai riuscita ad avere un confronto con le persone che si avvicinavano anche solo un quarto alla mia sensibilità ed il blog nacque proprio da questo: dal bisogno di comunicare, e col tempo la gente cominciò a seguirmi, un po’ perché si chiedevano come facessi a campare con questo, un po’ per il mio cane Africa ed un po’ perché si ponevano la domanda: “Ma Eleonora Marsella come si è alzata stamattina?”.
Il blog è oramai un lavoro per te: come si fa a farlo diventare tale? Cosa serve per far si che diventi famoso? Inizialmente eri da sola, come sei riuscita a trovare il tuo staff personale? Ma soprattutto, cosa vuole sentire la gente che non potrebbe già vedere coi propri occhi dal vivo?
Innanzitutto ti correggo, non ho uno staff, ma un team. Noi siamo una squadra, che ha diverse caratteristiche, ma pur sempre gli stessi obbiettivi finali in comune e questo è fondamentale per avere “successo”, anche se in definitiva il successo che cos’è? Soldi? Persone che ti seguono, che vogliono sempre le stesse cose? Io non posso né dirlo e né saperlo, però il team è stata una conseguenza di ciò. Inizi da sola, cresci, con te crescono le esigenze e ti rendi conto di doverti appoggiare ad un’altra persona.
Con noi, ad esempio, c’è la mia prima collaboratrice ufficiale, che è Federica Girardi, fotografa personale (con foto annesse all’intervista). Secondo me, per crescere ed avere risultati ottimali, bisogna essere circondati da persone con i medesimi obbiettivi. Quindi non so esattamente cosa serva per diventare “popolare”, so solo che come da un lato può farmi piacere l’essere riconosciuta, dall’altro mi inquieta il fatto che l’osservatore o follower possa diventare uno stalker, e qua torniamo alla prima domanda: c’è una Eleonora Marsella pubblica ed una privata, perché bene o male che sia cerco sempre di salvaguardare il mio privato, anche se l’essere solare, schietta e sincera mi porta lontano dal farlo. Alla fine sei sempre e solo tu a decidere, importante tenerlo a mente.
Ti faccio una domanda che è stata forma di dibattito, anche sui social: giornalista o blogger? Differenze sostanziali? Cosa ne pensi?
Parlo per la mia esperienza personale, ovviamente. Io a 14/15 anni pensavo che sarei diventata una giornalista e cominciai a 17 anni a scrivere per i giornali cartacei del paese. A 18/19 anni aprii il blog, perché era un modo per espandermi, per far si di avvicinarmi alle mie persone, oltre che a quelle del paese, che potevano essere anziani o adulti, perché il web ed il cartaceo hanno due utenze differenti. Avevo bisogno di avvicinarmi ai miei coetanei e di conseguenza al web, che è un mondo vastissimo. Non credo ci sia una chissà quale differenza tra blogger e giornalista, certo è che il percorso per diventare giornalista e quello per diventare blogger sono molto diversi.
Per fare il blogger non devi avere una formazione, basta crearsi uno spazio proprio su una piattaforma internet e iniziare a scrivere. Io infatti aprii prima il blog a 18 anni e poi, a 22, diventai una giornalista professionale e mi misero dentro all’ordine dei giornalisti, ma questo non vuol dire che i giornali, in automatico, accorrano per te, questo bisogna dirlo. Io sono “qualcuno” grazie al blog, difatti mi presento prima di tutto come blogger. Dipende sempre da cosa vuoi fare e da cosa vuoi essere, prima di ogni altra cosa.
Scrivi per molti giornali: il settimanale “La Terrazza di Michelangelo”, il bisettimanale pugliese “Il Gallo”, una rubrica letteraria all’interno del quotidiano PaeseRoma.
Un giornale in particolare, per il quale vorresti scrivere?
Se mi facesse una proposta “Il Corriere della Sera” mi farebbe sicuramente piacere, anche se sono dell’opinione che i giornali d’oggi pagano veramente poco, non pagano nulla o pagano di visibilità, quindi ancora una volta, andare a scrivere per una grande testata, ma che alla fine non ti permette di pagare l’affitto, non so quanto convenga, dato che sostanzialmente la nostra realtà è mossa dai soldi.
Tratti con autori emergenti: qual è esattamente il tuo compito, la tua funzione, all’interno di questo meccanismo? A quanti eventi è possibile, poi, partecipare, per gli scrittori emergenti?
“Che figura sono” è una domanda che mi viene rivolta spesso ed altrettanto spesso, mi viene detto dai miei autori che potrei essere la loro agente letteraria. È bizzarro come io mi sia inserita in questo mondo. Inizialmente ho cominciato a recensire autori emergenti, quindi a trattare loro la promozione, e solo in un secondo tempo mi sono accorta che loro, in definitiva, avevano bisogno di presentare i loro libri a Roma e di farsi conoscere, per questo ci fu l’incontro con Federica Girardi, la fotografa. Dopodiché abbiamo cominciato ad organizzare eventi su eventi e non abbiamo mai smesso, primo fra tutti una rassegna da settembre a dicembre, 15 rappresentazioni, una follia come primo approccio.
Chi sono io per gli autori? Sicuramente un punto di riferimento e me lo dimostrano le numerose ricerche fatte dai miei autori sul web, inserendo “promozioni autori emergenti Roma”, in quanto esce solo il mio nome e questo mi da la prova che sto lavorando bene.
Case editrici grandi o piccole? Da dove partire? C’è effettivamente posto per gli scrittori emergenti?
Gli scrittori emergenti sono tanti. C’è posto per tutti? Probabilmente si, dovuto al fatto che oggi, in Italia, è possibile pubblicarsi da soli con il self publishing. Rispetto agli anni precedenti la letteratura, come l’editoria, sono cambiati: prima venivano a scrematura maggiore, adesso con il self non avviene, perché ora che tu sappia scrivere o no, puoi comunque pubblicare ed essere in divulgazione. Il problema della divulgazione qual è? In Italia, se non sei di una grossa casa editrice, Feltrinelli, Newton, Mondadori, il tuo libro non verrà messo in vendita, a meno che tu, scrittore, non vada direttamente dal negoziante, in libreria, a proporgli una percentuale, per l’esposizione.
Lo spazio c’è, ma dove? Per non parlare della conflittualità tra cartaceo ed e-book, di utenze differenti. Bisogna soltanto sapere dove collocarsi.
Estero ed Italia: la differenza estrema nello scrivere in due parti opposte del mondo.
La differenza è che gli italiani sono una popolazione a parte: l’e-book non riesce ad avere un boom, anche se le percentuali sono aumentate e le statistiche dimostrano anche che non sono i lettori a mancare, ma che rispetto al resto della popolazione, sono in netto svantaggio. L’importante è continuare a trovarlo, quell’uno su una quindicina, e che non legga libri di Fabio Volo o romanzi rosa. All’estero, invece, l’e-book è decisamente in vantaggio, rispetto al cartaceo e questo li porta, probabilmente, ad avere la mente più aperta al cambiamento, oltre che alla letteratura.
Il tuo lavoro ti permette di viaggiare tantissimo: sei amante dell’Africa. Cosa hai trovato là di così prezioso?
Viaggio tantissimo per lavoro, ma viaggio anche tanto per piacere, anche se non tanto quanto vorrei. Non ho mai capito perché mi sono innamorata dell’Africa, come non ho mai capito perché sono ossessionata dal mondo islamico ed arabo o, ancora perché leggo cosi tanto, perché sono amante del corano. La prima volta che andai in Africa, a 16 anni, sono stata in Marocco, e mi è rimasta impressa per, principalmente, due motivi sostanziali: il primo è perché ci andai con mia madre, dopo che riuscimmo a ritrovarci, a causa del lavoro e del poco tempo; il secondo, perché a me piace la povertà, i posti poveri. A me della modernità, di posti come New York, quando c’è un mondo fatto di terra rossa e tramonti da mozzare il fiato, non me ne frega niente. Poi la gente è diversa, la gente dell’Africa si accontenta di un sorriso, di un abbraccio, di una carezza, di tutto e di nulla, rispetto all’italiano che, invece, non si accontenta nemmeno di tutto “l’oro” che ha nelle tasche, e questo fa pensare.
Stai partecipando alla Rubrica Stazione Letteraria a Radio Godot. Come ti trovi a comunicare, parlando, invece che scrivendo?
Questo 2017 (n.d.r. L’intervista è stata realizzata a dicembre 2017) per me è stato decisivo: il distacco storico col mio ex fidanzato, dopo una vita che stavamo insieme (6 anni); il mio 25° compleanno; la radio, che l’anno scorso ha cominciato a prendere una posizione non da poco e a cui, grazie a Federica Girardi che girava alla ricerca di nuove proposte collaborative, ho preso parte, aprendo una mia rubrica con Maurizio Costa, che è diventato oramai la mia “spalla destra” (ribadisco, non è il mio fidanzato, anche se tutti continuano a pensarlo). La differenza sta che lo “scrivere” diventa più complesso nel momento in cui si ha poco tempo per farlo, ed è incisivo, rimane. Il “parlare” invece no, quindi se per caso dovessi dire, passami il termine, qualche “stronzata”, la gente assembla e poi dimentica (risate).
È semplicemente una forma di parlare al mondo differente a quella del blog, ma è pur sempre una buona base.
Hai progetti futuri? Idee per un possibile libro?
Questa è una delle domande più frequenti, che fanno ad Eleonora: quando faccio un libro e quando mi fidanzo. Non credo di essere pronta per un libro, non ho mai nemmeno pensato di pubblicarne uno, anche se devo dire che alla seconda laurea, una tesi che feci, fu richiesta da una casa editrice, ma rifiutai di collaborarci perché erano dei “lupi, anche se sarebbe potuto diventare un libro. A volte ci penso: mi prendo due settimane, isolata dal resto del mondo e lo scrivo, ma ho troppe cose da fare per riuscire a permetterlo, compreso stare in radio, quindi l’idea cade in fretta. Se mi fermassi, forse si, raccoglierei ogni mio pensiero e ne potrebbe venire fuori un libro, anche perché non scrivo sempre tutto ciò che mi accade o tutto ciò che penso, per fortuna o sfortuna altrui.
E così siamo arrivati alla Marsella del web, quella che tutti conoscono, senza conoscerla veramente, ma avrei ancora una domanda per la ragazza del Salento: cosa diresti alla persona che, come te, è partita da zero, dovendo fare passi molto più grandi di lui/lei? Cosa diresti, a questa persona un po’ confusa, ma pronta a tanto per realizzare ciò in cui crede? Cosa le diresti, se fosse davanti a questo articolo, pronta ma non del tutto, determinata ma impaurita, a sperare in parole che possano farle sentire il fuoco dentro, per prendere ed andare?
La prima risposta che mi viene da darti è che ci devi credere e poi “ ce devi provà”. Devi crederci perché nessuno potrà farlo al posto tuo: io a 18 anni, quando aprii il blog , né mia madre, né il mio fidanzato dell’epoca, credettero in ciò che stavo iniziando, poi ho preso la prima laurea, le collaborazioni continuavano ed io cominciavo a vedere i primi soldini.
Approdai a Roma, cominciai ad organizzare eventi, a conoscere gente ed è lì che cominciarono a pensare, le persone intorno a me, che forse il blog funzionava davvero, ma la vera svolta ci fu quando finii gli studi ed il lavoro della blogger mi permetteva di pagare l’affitto, di andare fuori a cena, di prendermi qualche vestito e di pagare le persone che collaboravano con me. È da qua che cominciarono a credere in ciò che stavo facendo, ma la colpa non è stata loro per non avermi creduto, semplicemente del tempo che ti offre una “misura”, ma non subito e non come tu vorresti. Il riconoscimento sociale si fa vedere solo quando i risultati sono in evidenza. Il vero salto di qualità avviene nel momento in cui tu, scrittore, cantante, artista, prendi coscienza di quanto vali e lotti per ciò in cui credi: te stesso.
“Sii affamato, sii folle”.
Jobs, in fondo, aveva ragione.
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