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Il punto e virgola significa speranza. Intervista allo scrittore Giovanni Margarone

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Quando si legge un libro e lo si fa nel modo giusto, ci si lascia totalmente in balia delle pagine, della storia; si resta rapiti magari da un personaggio piuttosto che un altro. Qualche settimana fa mi è arrivato il libro dal titolo: Storia di un punto e virgola, edito da BookaBook e scritto da Giovanni Margarone.

Copertina Storia di un punto e virgola (Edizioni BookABook - Giovanni Margarone)
Copertina Storia di un punto e virgola (Edizioni BookABook – Giovanni Margarone)

 In questo caso il titolo mi ha incuriosito molto, quasi come fosse una fiaba o un titolo tipo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. (ndr Luìs Sepulvèda) Mi ha restituito lo stesso tipo di curiosità, alla quale ovviamente dovevo dar sfogo e soddisfazione immergendomi in quelle pagine.

 Il libro inizia con una domanda: Chi era Demetrio? Un introverso animale che fugge dai suoi simili? O forse era un misantropo? È decisamente un modo interessante per iniziare a stimolare e stuzzicare la curiosità del lettore e iniziare a capire il personaggio. Però, visto che mi è stato consegnato il libro, ho pensato bene, come faccio abitualmente, di parlare direttamente con Giovanni della sua storia che ho trovato, a mio avviso, davvero bella e attuale in qualche modo.

 Visto che abitiamo lontani, ho pensato di inviargli l’intervista a mezzo mail.

Ciao, Giovanni, innanzitutto grazie mille per il tempo e l’attenzione; la domanda che faccio abitualmente, perché mi interessa, è la seguente: Come stai?

Molto meglio dell’anno scorso quando scoprii di essere ammalato di cancro. Non tergiverso chiamandolo altrimenti, perché sono sempre stato consapevole del pericolo che corro. Spero solo che le cure abbiano effetto e che la “bestia” mi lasci in pace almeno per un po’. Per affrontare il cancro ci vuole coraggio, non nascondo di aver paura, ma non demordo e vado avanti, combattendo. Da questa esperienza ho ancor più imparato che la vita è preziosa ed è un dono incommensurabile, lo stesso messaggio è contenuto nel mio libro di cui parliamo oggi.

Posso essere onesto? Demetrio mi è stato simpatico sin dall’inizio, sin dalle prime pagine ho provato empatia per questa persona che potrebbe essere ognuno di noi, con il suo vissuto, le sue paure e ti chiedo una cosa che, forse, ti avranno già chiesto in tanti (oppure no). Come è nato Demetrio?

Demetrio è nato dal mio intento di narrare la storia di un personaggio poco o niente interessante e di farlo diventare interessante. Un’impresa ardua, senza dubbio, ma è proprio questa la creatività, secondo me, che deve avere uno scrittore supportato dalla fantasia e da una buona dose di coraggio. Ritengo che sia essenziale la creatività, appunto, per chi si ritiene uno scrittore, come altrettanto essenziale è la cura della lingua, della nostra bella lingua italiana, così ricca e poetica, purtroppo spesse volte bistrattata, anche nel modo parlato.

 

“La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà.” (Fabrizio De André)

La storia di Demetrio mi fa pensare a questa frase del sommo Faber, soprattutto quando esce e va a comprarsi quell’abito. Secondo me quella è la sua prima forma di libertà, il suo, nonostante le paure, modo di dare in qualche modo la svolta in quella sua solitudine. Qual è stata la molla che ti ha fatto pensare di far acquistare un abito da cerimonia a Demetrio?

Non c’è una ragione specifica che connota quell’acquisto, è stato un qualcosa di istintuale, se vogliamo, da parte del protagonista, che l’ha fatto, per una volta, allontanare dall’avarizia. Ho architettato questo fatto come fosse un segno, infatti quest’abito tornerà in scena nella seconda parte, dopo essere stato accuratamente conservato con la naftalina nell’armadio per tanto tempo. Il significato della vicenda dell’abito va inteso come nella vita, alle volte, ci siano dei “segni”, che possono essere sensazioni, situazioni, oggetti, anche sogni, che nella vita futura in qualche modo ricompaiono o si collegano al nostro vissuto.

Tuttavia ci possono essere altre interpretazioni, come la sua: questo è il bello di un certo tipo di scrittura della quale il lettore dà la sua interpretazione a un certo fatto perché lo scrittore ha dato spazio alla sua fantasia; questo è sempre stato uno degli obiettivi che mi sono sempre prefissato.

 

Mentre scrivo penso alle mie forme di solitudine, alle mie paure in questo mondo sempre più violento. Penso ai miei atteggiamenti, al mio istinto di protezione e sopravvivenza, al mio modo di reagire a tutto questo. Penso alla mia famiglia, a quella che mi sono creato e a quella che mi ha cresciuto e messo al mondo.

 

“Non esiste nessuno a cui piaccia la solitudine. È solo che odio le delusioni.” (Haruki Murakami)

La famiglia, gli amici, il rapporto con le altre persone, il rapporto con le donne. Demetrio si rende conto che tutto ciò che vive, che subisce è frutto di convinzioni passate, di mancanza di affetto, di mancanza di fiducia. Si rende conto di tutto e non fa nulla, si chiude in questo suo mondo fatto di silenzio, di ombre, di oscurità. Gli unici spiragli di luce che lui incontra sono le presenze di Ovidio, il suo unico amico e di Paola, la vicina e di Leonardo, a suo modo, suo titolare in azienda. E del lavoro che gli consente di accumulare soldi.  Lui è lì, chiuso in sé stesso e non fa entrare nessuno. Quanto è stato difficile per te raccontare questa solitudine?

La solitudine può essere compagna di vita, anche ricercata, soprattutto quando il vissuto è stato segnato da tristi epiloghi nel corso di relazioni personali e sociali. Nel caso di Demetrio no. Lui non è mai stato consapevole a causa della sua indole misantropica; la sua solitudine l’ha percepita come parte della sua vita in una sorta di normalità. Sì, è stato difficoltoso affrontare quest’aspetto, perché, in fondo, ho trattato il concetto di normalità, il cui rovescio è l’anormalità; un tema squisitamente filosofico e di grande attualità ai nostri tempi: ma cosa vuol dire normale? La normalità è legata al contesto culturale, alla moralità, al credo (o non credo), alla razza, all’indole, al genere e… a mille altri aspetti della nostra umanità.

Un fatto umano se accettato in un contesto è normale, mentre in altro contesto non è accettato quindi è anormale. Dipende, per capirsi, dalle diverse prospettive e più la mentalità è aperta (o meno ottusa), più le prospettive si allargheranno fino alla teorica circolarità, tendendo a considerare normale tutto. Certo, questa è pura teoria, perché le contrapposizioni ideologiche non possono venire meno: l’umanità sarebbe piatta, grigia, uniforme, il che è impossibile; ma la mentalità, per esempio, si può cambiare accettando la diversità, eliminando la superbia, guardando gli occhi di chi soffre senza voltarci dall’altra parte.

Quindi tutto è normale, ma allo stesso tempo anormale, ciò implica che dalla prospettiva di Demetrio la sua solitudine è normale.

Ad un certo punto accade qualcosa, un qualcosa che cambia tutto, un qualcosa che rimette al centro del mondo la luce, la serenità, la spensieratezza. Demetrio si apre al mondo e si rende conto di quanto sia stato “stupido” chiudersi per tanto tempo. Scopre l’amore che gli dona nuova vita e nuova linfa. Sono stato molto contento per lui, lo vedevo lì, come se fossi stato uno dei cittadini durante la festa del paese, testimone di quella trasformazione, di quella musica nel suo cuore, nei suoi occhi. Una gioia che ha rimesso in moto tutto, anche il rapporto con i suoi genitori, ormai scomparsi.  Domanda personale. Ti è mai capitato di sentirti come Demetrio? Intendo proprio al pieno della sua sofferenza e poi della sua gioia.

Non nascondo di aver vissuto un’adolescenza solitaria, come tanti ragazzi, del resto, ormai tanti anni fa. Con l’avvento dell’età matura ho vissuto anch’io una sorta di palingenesi esistenziale: avevo trovato lavoro, poi sono arrivate le relazioni sociali e l’amore. Credo che in minima parte siamo tutti dei Demetri con un “punto e virgola” da qualche parte; la vita si evolve e la cosa più bella è apprezzare un nuovo vissuto motivante e gradevole. A tutti piace sognare una vita che forse non vivremo mai. Come dice il buon Benigni: i sogni arrivano prima delle idee.

Ultima domanda. Ritornando al titolo, l’ho trovato davvero di una bellezza poetica, anche per l’uso poi che ne è stato fatto nel libro. Questo punto di sospensione ma non di chiusura, questa apertura al cambiamento, questa apertura alla speranza. Onestamente, mi farebbe piacere conoscere la storia che continua, ciò che c’è dopo quel punto e virgola. Ci sarà mai una nuova storia su Demetrio?

Non credo, non mi piacciono i sequel, né tantomeno scriverli. Preferisco che ogni romanzo sia a sé. Però il lettore può immaginare un seguito e credo che il buon lettore ciò lo sappia fare.

 Per concludere, grazie mille ancora Giovanni del tuo tempo e per avermi raccontato di Demetrio.

 

Giacomo Ambrosino

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