S.O.S Sostegno
“Vuoi lavorare a scuola? Diventa insegnante di sostegno, lavorerai sicuramente!” Questo è il mantra che da alcuni anni sta spopolando nel mondo scolastico, attirando migliaia di giovani e meno giovani che, speranzosi di ottenere una sorta di pseudo posto fisso, rimpinguano le casse delle Università italiane ed estere per il conseguimento del titolo di specializzazione sul sostegno didattico, certi che l’anno successivo, tutto questo si traduca in un incarico a scuola.
Non credete a tutte quelle filippiche romanzate su quanto sia bello fare l’insegnante di sostegno, su una presunta vocazione o sullo spirito guida che illumina il cammino di noi insegnanti di sostegno e ci spinge alla beatificazione. Non c’è nulla di tutto questo. Siamo esseri umani stanchi, alcuni anche insoddisfatti, che decidono di provare tutto per avere una stabilità economica o, per i più fortunati che sono entrati di ruolo grazie allo scorrimento delle graduatorie, il prezzo da pagare per passare alla propria classe di concorso dopo qualche anno.
Il discorso non sarebbe neppure così tanto negativo se non fosse che, a farne le spese, sono, come sempre, i ragazzi:è lì che gli insegnanti si giocano tutto: credibilità, sistema nervoso, pazienza, stima e, non ultimo, professionalità. “Essere insegnante di sostegno è relativamente semplice: devi seguire uno o due ragazzi al massimo, hai un solo consiglio di classe da fare e i pei da compilare, non sei come i curriculari che sono sommersi dalla burocrazia, magari lo facessi io!”. Tecnicamente è tutto vero.
Praticamente: devi diventare il porto sicuro di quei ragazzi, conoscerli, accettarli così come sono, senza cucirgli addosso modelli di alunni ideali, perché loro, al pari dei loro compagni, non diventeranno mai come li vuoi tu piuttosto si ribelleranno, ti rifiuteranno come insegnante perché li fai sentire diversi, controllati. Per non parlare del carico emotivo dei loro genitori, che dietro le battaglie silenziose, le terapie, nascondono sempre una domanda che li fa sanguinare in silenzio e a cui nessun neuropsichiatra conosce ancora la risposta: “Perchè mio figlio?” E come genitori hanno diritto ad avere il meglio per l’istruzione dei loro ragazzi, forse anche più degli altri, perchè a loro è già stato tolto tanto. Ma cosa ne sanno i docenti curriculari, dell’ansia e della paura che si ha quando nonostante le provi tutte, il ragazzino scappa da te, si rifiuta di lavorare, di darti ascolto, e non puoi nemmeno prendertela con lui, perchè non avrebbe nemmeno senso. E allora ricominci, cambi strategia, cambi atteggiamento, ti inventi di tutto affinchè al tuo ragazzo possa apparire un lampo di entusiasmo in quello che gli proponi e dopo un po’ ti disperi, perchè magari hanno dimenticato tutto quello che hanno fatto.
Si è vero, fare l’insegnante di sostegno è facile. Diventare un insegnante di sostegno è emotivamente impegnativo e pragmaticamente complesso: devi dare ali diverse a dei ragazzi che non hanno avuto la possibilità di crearsele da soli. Se siete disposti a farvi carico di tutto questo, allora sarete insegnanti per cui vale la pena andare a scuola; in caso contrario, preparatevi al burnout.
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