Scrivere storie per scatenare ricordi. Intervista allo scrittore Marco Lugli
Ci può parlare del protagonista? Il commissario Gelsomino, come nasce?
Nasce attingendo da alcuni aspetti del mio carattere e cercando di scansare le caratteristiche di molti inquirenti letterari, che hanno passioni nobili come la cucina, la musica e il buon vino. Gelsomino non ha hobbies o vizi particolari, rimasto prematuramente vedovo ha solo qualche problema con le donne. Si usa spesso e impropriamente la parola antieroe per indicare qualcuno che poi, nei fatti, si vuole dipingere come un eroe.
Gelsomino non è per nulla eroe. Si tratta di una persona che della propria malinconia e fragilità e del sarcasmo che usa per celarle e combatterle, fa il suo segno distintivo. È un investigatore vecchio stampo, che ama parlare coi sospettati e leggere nei loro occhi. Va spesso dritto per la sua strada sfiorando i confini della procedura investigativa e commettendo errori, arrivando però, immancabilmente, alla soluzione dell’enigma.
Ha degli aspetti autobiografici?
Una certa, masochistica, attitudine ad addentrarsi nel pozzo nero all’introspezione e l’ironia necessaria ad uscirne.
Come mai la scelta del Salento come ambientazione?
È il luogo dove io, modenese, mi sono trasferito da otto anni. Ha la capacità di influenzare l’umore delle persone a seconda del vento che lo colpisce. Si tratta di un luogo distante da tutto ed allo stesso tempo di confine, dove è plausibile ambientare storie di impronta contemporanea, come “La Madre”, ma anche fortemente caratterizzate dalle influenze del passato, come in “Ego me absolvo”. L’impatto con un modo di vivere così diverso da quello emiliano è stato forte.
Non dico di aver sposato la filosofia di vita salentina, perché non l’ho fatto, ma la fascinazione c’è stata e proprio la diversità delle persone e degli ambienti ai quali ero abituato è stata il carburante che ha fatto accelerare la mia produzione letteraria.
Quando ha cominciato a scrivere e perché?
La passione per la scrittura è nata molto presto, alle scuole elementari, dove tediavo i compagni di classe con racconti i cui personaggi erano presi dal mondo dei fumetti. È diventata una forte passione attorno ai 25 anni e un lavoro a tutti gli effetti negli ultimi dieci anni.
Cosa le ha regalato scrivere?
Ho risparmiato un sacco di denaro evitando di mettere mai piede nello studio di uno psicologo.
Ha uno scrittore preferito? O qualcuno a cui si è ispirato?
C’è uno scrittore, Houllebecq, che guardo da dovuta rispettosa distanza con lo stesso sguardo interrogativo ed adorante del parroco di campagna che fissa un enorme crocifisso ligneo in una cattedrale romanica. Lo leggo per farmi umiliare dalla sua bravura e spronare me stesso a migliorare. Poi, tornando tra gli scrittori normali, ripeto spesso questa frase: «A Parise ruberei la padronanza di linguaggio, a McEwan la capacità di introspezione, a Bukowsky la sincerità.»
“La madre” è il terzo di una serie dedicata alle indagini del commissario Gelsomino, come mai la scelta di utilizzare un unico personaggio in diverse sue opere?
Il genere giallo pone tanti vincoli ad uno scrittore perché lo ingabbia in alcune ferree regole di composizione della trama. La serialità ha il vantaggio, nel genere poliziesco, di lasciarti il tempo di sviluppare il personaggio e tematiche a lui care, anche se non strettamente correlate alla trama gialla.
Proprio nell’istante in cui il racconto può dirsi finito, nelle sue ultime pagine, ecco che un nuovo mistero si affaccia, sappiamo che da poco ha pubblicato il suo ultimo libro, è la sua continuazione?
“Le Sepolture”, come ogni romanzo della serie, continua a fornire nuovi elementi per la definizione a tutto tondo dei personaggi inquirenti, ma rimane un romanzo che deve potersi leggere anche da solo. Quindi, no, al contrario di altri autori, ho deciso che non deve esserci un mistero che si sviluppa man mano nei vari romanzi. Non mi va che un lettore che legge il quarto capitolo non trovi alcuno stimolo a non leggere il primo.
Cosa si aspetta di regalare ai suoi lettori?
Mi aspetto che non si creda che ho un messaggio dal lanciare. Desidero solo scrivere storie che possono scatenare ricordi, riflessioni ed emozioni, qualunque esse siano, in chi le legge.
Il titolo “la madre” mi ha colpito da subito e a mio avviso tutta l’essenza del viaggio nel mondo del materno che ci fa fare questo libro è condensata qui, in queste righe: “I genitori si lamentano che il loro è un lavoro difficile, ma in realtà non è così. È il punto di vista di quella affermazione che è sbagliato. Essere genitori è facile perché ognuno lo fa a modo suo.
Quello che scambiamo per qualcosa di difficile non è altro che l’egoismo che non ci fa accettare che i figli diventino persone diverse da quelle che avevamo progettato”, quando un genitore prende consapevolezza di questa verità cade un velo dagli occhi e lì si comincia davvero ad esserlo, qual è la sua personale esperienza su questo particolare aspetto relazionale? Che sia da figlio o da genitore
Non sono un genitore. Lo sono stato in potenza per qualche mese poi la cosa non ha avuto l’esito atteso. Ogni mia considerazione sull’esperienza genitoriale, dunque, è frutto dell’osservazione di altri genitori e dell’incredibile diversità di modi cui è possibile impostare la crescita e l’educazione di un figlio. Giudico il fatto di non vivere questa esperienza come una mancanza, ma relativamente a “La Madre” mi piace pensare che mi abbia consentito di essere neutrale rispetto alla visione che ogni genitore ha di se stesso.
Ci sono progetti futuri? Sta già lavorando a qualcosa in questo momento?
Sì, sto terminando la scrittura del prossimo romanzo. Dopo due gialli (La Madre e Le Sepolture) scritti durante i due consecutivi inverni in lockdown ho sentito il bisogno di prendermi una pausa da Gelsomino, così da ripartire con lui per il quinto capitolo della serie più motivato che mai. ora sto scrivendo qualcosa di diverso. Il libro in preparazione è un libero sfogo della mia fantasia su tematiche religiose e filosofiche affrontate in chiave divertente. Un’esperienza nuova, molto difficile, ma che prendo appunto come un sonno ristoratore dopo una due giorni di lavoro intenso.