La facoltà di scegliere. Intervista alla scrittrice Elena Pigozzi
Il libro parla della storia di una famiglia di ricamatrici, tuttavia non meno importante è il ruolo degli uomini. La loro presenza/assenza determina scelte decisive. Credi nel destino già scritto o pensi che ognuno sia artefice del proprio?
Gli uomini sono fondamentali, ma vengono visti e raccontati con gli occhi delle donne. E sono comunque uomini degni di affiancare le ricamatrici. Sono il motore delle vicende, ma il punto di vista forte resta quello di Eufrasia e le altre: un punto di vista femminile.
Io credo nella facoltà di scegliere. Ogni scelta ha le sue conseguenze. La vita ti offre un banchetto, non importa che cosa offra, sta all’uomo capire di cosa ha bisogno e seguire la sua scelta fino in fondo, accettando tutte le conseguenze, dolore e fatica compresi.
Una cosa che mi ha colpito molto del libro è che nei momenti più bui siano i figli a risvegliare le madri dal torpore. Credi molto nella potenza del legame genitore/figli?
Credo molto nella forza della vita. Le donne sono creature potentissime anche perché madri, non importa se hanno avuto figli: sono le donne che danno la vita. Clelia torna a vivere grazie a Miriam. Sono i figli che impongo alle madri di “andare avanti” nonostante tutto. Il legame madre-figlio è fortissimo, ma lo è anche tra nonna e nipote, come lo sono i legami d’amore, nel senso più ampio del termine.
Ho trovato magica l’ambientazione, con il suo borgo, il fiume e la casa in collina. Ti sei ispirata ad un luogo in particolare?
Sì, un luogo del cuore, dove affondo le mie radici. Si trova alla periferia di un paese, già periferia della città, ed è alle pendici del monte, con alle spalle un bosco. Però, all’ambientazione del romanzo – come alla sua temporalità – ho cercato di dare una collocazione mitica: doveva essere un borgo senza una geografia, ma capace di evocare tutti i borghi d’Italia. E così il tempo: doveva essere sospeso e insieme ciclico, come il tempo del mito. Pochi gli elementi che raccontano la temporalità: sono quelli che ci suggeriscono che siamo nel Novecento, che attraversiamo le due guerre e arriviamo all’oggi, ma niente di più.
L’arte del ricamo è quasi del tutto perduta, come tanti altri mestieri antichi. Quanto è importante secondo te tramandare queste tradizioni?
Importantissimo: sono mestieri che hanno fatto e fanno la ricchezza del nostro paese, ma che si stanno perdendo, fagocitati nella globalizzazione, ma andrebbero preservati. Si pensi ai falegnami, ai decoratori, ai restauratori, la lista è lunga. Si perde una conoscenza antica e un insieme di arti che costituiscono il “made in Italy” e che hanno da sempre realizzato “bellezza”. Quanta magnifica bellezza in un ricamo, in un mosaico, in una decorazione…
Ultima domanda: Stai già lavorando ad un nuovo progetto?
Sì, un nuovo romanzo, che ha una dimensione più ampia di questo, ma sempre con donne forti e capaci di lottare per difendere ciò che amano.
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