Le iene siamo noi. Intervista al cantautore Francesco Vannini
La società odierna cantata da Francesco Vannini nel suo nuovo album “Non siamo mica le star”.
Francesco Vannini è un cantautore siciliano precisamente palermitano. Sin da piccolo ha avuto la passione per la musica, ha studiato al conservatorio per poi dedicarsi anima e corpo alla musica leggera, creando le sue melodie e i suoi testi, accompagnando la sua voce alla chitarra.
So che hai abbandonato gli studi classici per dedicarti alla musica leggera, come hai capito che quella era la tua strada?
Lo studio del pianoforte classico è stato importantissimo, ma credo di essere arrivato al momento più importante che ero troppo ragazzino, in anticipo sia coi tempi del conservatorio di quegli anni, sia coi tempi della mia crescita personale. In poche parole sono arrivato alle porte del quinto anno di conservatorio in un momento in cui le partite di pallone con i compagni di scuola erano più importanti delle 4-5 ore da dedicare al pianoforte.
Oggi ci ripenso e sorrido, forse avrei avuto un futuro come orchestrale, sicuramente sarei rimasto povero in canna come adesso! Comunque, nonostante l’abbandono del conservatorio ho continuato a studiare musica e mi sono laureato al DAMS di Palermo, anche lì con sbocchi lavorativi pari a zero, giusto per non cambiare abitudini!
E’ stato difficile intraprendere questo percorso? C’è qualcuno che ti è stato accanto e che ti ha sostenuto, incoraggiato ad andare avanti?
La famiglia ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Papà c’è rimasto male per il mio abbandono del pianoforte, ma non ha mai smesso un attimo di incoraggiarmi a provare da una parte e a mantenermi coi piedi per terra dall’altra. Mia mamma poi è la mia prima fan e mia moglie continua a sopportarmi nonostante il chiasso che produco in casa quando rincorro idee musicali. Fuori dalla famiglia tanti “costeggiatori” che sono andati e venuti, come è giusto che sia.
Hai studiato pianoforte per poi passare ad uno strumento a corde, la chitarra, imparando da autodidatta, come mai questa scelta?
Perchè giuro che ci ho provato anche io ad andare in giro col “pianoforte sulla spalla”, ma le mie spalle non ce la fanno. Scherzi a parte, la chitarra è realmente più portatile, più fisica e per suonarla la devi necessariamente abbracciare. Prova tu a suonare un pianoforte abbracciandolo!
In più mi ha dato idee compositive diverse, proprio al livello di caratteristica strumentale, rispetto a quelle che mi venivano col pianoforte e avere più possibilità compositive in canna è una cosa da non sottovalutare.
E per quanto riguarda il pianoforte, hai mai pensato di usarlo per accompagnare i tuoi testi?
Quando è possibile, il piano è sul palco con me, quando vado in giro per l’Italia e ne trovo uno sul palco, qualche canzone la suono sempre, in fin dei conti è il mio primo strumento ed è ancora il mio habitat più naturale, anche in ambito pop.
Parliamo del tuo album, “Non siamo mica le star” dal significato profondo ma reso leggero dalle sue melodie. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
Ogni viaggio musicale che ho fatto ha avuto un motivo profondo. Nel caso del mio primo EP “Dinecessitavvirtù” il motivo era l’affermazione della mia figura di solista, dopo esperienze varie in diverse band; “Tornando a noi” è stato l’album “dell’urgenza”, perchè sentivo il bisogno di fissare in musica uno stato d’animo inquieto, favorito da fatti e problemi personali che volevo mettere su un disco e ingabbiare una volta e per tutte: “Non siamo mica le star” è il disco “della verità”, nel senso che a 35 anni non ho più voglia di andare all’inseguimento di nessuno, di scapicollarmi a qualsiasi chiamata, perchè potrebbe darmi (forse, chissà, perchè no?) una visibilità che poi non arriva mai, nel senso che non voglio più essere io a seguire i tempi degli altri nel mio lavoro, ma dettare i miei e scoprire chi riesce a stare al passo.
Così ho capito che la verità è che per non dover inseguire nessuno, la soluzione migliore era fare tutto da solo, non per chiudersi al resto del mondo, ma per poter per una volta responsabilizzarmi e rendermi conto seriamente se avessi voglia ancora di sognare oppure se è stata tutta un’abitudine e niente più.
Così dalla prima all’ultima nota, dalla prima all’ultima parola, gli arrangiamenti, il missaggio, il mastering, i videoclip, il tema grafico del disco, sono farina del mio sacco e me ne prendo tutte le responsabilità, i meriti e i demeriti. “Non siamo mica le star” è tutta la verità, nient’altro che la verità di Francesco Vannini.
Parlami un po’ del singolo “Iene”.
Iene è una canzone che ho scritto un po’ di tempo fa e che però avevo già intuito potesse essere una canzone buona per tutte le stagioni. In molti mi hanno chiesto se l’avevo scritta parlando della situazione della quarantena, essendo uscita all’inizio di questo periodo difficile e beccando tutti i nervi scoperti dell’ascoltatore medio. In realtà è stata una fortunata coincidenza.
La canzone parla di noi, di come la nostra cultura si sia pian piano trasformata da accogliente e inclusiva a sospettosa e divisiva. Anche il sorriso acquista oggi un significato un po’ ambiguo, sembra talvolta essere più un ghigno, un ringhio come ad indicare che sono cordiale con te, ma che alla tua prima distrazione io posso farti fuori in un attimo. Più social entrano nella nostra vita e meno sociali diventiamo, quasi per osmosi.
Hai partecipato al “Biella Festival” arrivando secondo con il brano “Bomboletta spray”. Hai mai pensato, poi, di partecipare ad un talent show od addirittura Sanremo?
I talent show secondo me richiedono caratteristiche che non sono quelle strettamente tecniche richieste a un cantautore. I talent show formano, quasi prevalentemente, personaggi televisivi a cui noi ci affezioniamo non per le canzoni che scrivono (fanno quasi sempre e quasi tutti cover), ma per le prove che affrontano nell’ambito di una trasmissione che non è un concerto, bensì un format televisivo con inserti musicali al suo interno.
Poi vengono spremuti con canzoni originali che raramente sono l’espressione personale di ognuno di loro e se ci pensi sono molto pochi quelli che sono andati avanti per più di 2-3 anni dalla loro partecipazione a un talent. Sono molti di più quelli che forse si sono bruciati il futuro facendolo. Sanremo è qualcosa che vivo con molta poca costanza, perchè spesso la musica perde la centralità e anche lì si fa più spettacolo che canzoni. Sono forse le edizioni più recenti che hanno restituito all’artista il centro della ribalta.
A un Sanremo di Baglioni o di Amadeus mi sarebbe piaciuto andare, ma anche per Sanremo, anzi soprattutto per Sanremo vale il discorso della “spendibilità” dei concorrenti in termini di ascolto e auditel. I perfetti sconosciuti hanno sempre e comunque poco spazio e mal distribuito in festival come questi dove la logica principale è quella degli ascolti televisivi.