Volevo solo fumarmi una sigaretta. All’Avanposto Numero Zero l’opera dei MA.TE.NA.
AvaNposto Numero Zero fondato e diretto da Egidio Carbone
presenta
VOLEVO SOLO FUMARMI UNA SIGARETTA
Atto unico promosso dall’associazione MA.TE.NA. Mascalzoni Teatranti Napolitani, con brani de ‘La cura’ di Gennato Patrone e ‘Appucundria e’ ll’acqua sporca’ di Salvatore Cirillo. Musiche di Rosario Ariosto. Diretto e interpretato da Salvatore Cirillo
Sabato 27 maggio 2017, ore 21.00
Domenica 28 maggio 2017, ore 19.00
Via Sedile di Porto, 55 (Via Mezzocannone, C.so Umberto) – 80134 Napoli
È come quando ti accedi una sigaretta e qualcosa ti impedisce di fumartela in pace. Questo semplice gesto, accendere una sigaretta, riporta alla mente di Raffaele Mazza, il personaggio protagonista di ‘Volevo solo fumarmi una sigaretta’, in scena al Teatro AvaNposto Numero Zero sabato 27 e domenica 28 maggio, ricordi dolorosi del suo passato che lo portano a rivivere e condividere con il pubblico, la sua intera vicenda umana. Diretta e interpretata da Salvatore Cirillo, con musiche di Rosario Ariosto, la pièce è un monologo che si compone di due testi, ‘La cura’ realizzato da Gennaro Patrone e la poesie ‘Appucundria e’ ll’acqua sporca’ scritta dal regista stesso, che porta sul palcoscenico la follia e la sofferenza di un uomo e di un medico, condotto a scelte estreme da un doppio tradimento, professionale e personale.
Dentista, Raffaele crede nel proprio mestiere, nella possibilità di alleviare il dolore alla gente e vederne il sorriso e si sente tradito quando scopre che, negli ospedali, lavorano medici che vendono la vita dei pazienti in cambio di denaro, ma il tradimento peggiore è quello che subisce dalla moglie, conosciuta a Napoli in una notte di festa, sotto lo sfavillio del campanile della Chiesa del Carmine e sposata in fretta, che l’abbandona. Comincia allora una discesa verso gli inferi della follia, fatta di incontri con specialisti e visioni di malati inesistenti da guarire, fino a diventare un barbone. Un dramma umano, ma anche una ricerca di purezza e integrità, una resistenza alla violenza restituita con delicatezza e struggimento, con una recitazione asciutta e mai sopra le righe che coinvolge il pubblico e lo conquista con inaspettati colpi di scena, fino alla rivelazione finale; siamo noi a rappresentare la nostra salvezza e come recita uno degli ultmi versi dello spettacolo, «tuorne a t’aizà e nun ‘mporte, si ‘o tiempo ca’ ce miette è assaje o poco». Lo spettacolo rappresenta l’inizio di un progetto che avrà come filo conduttore l’amore, la follia e la solitudine.
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